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Il Rituale

Praolini Norina nata il 27 Settembre 1921 a Vernuga, piccola frazione del comune di Grosio in Provincia di Sondrio. 

Norina era mia Nonna. 

Ho sempre avuto l'impressione che chi è nato nei primi vent’anni del novecento ha avuto una vita incredibilmente interessante ed avventurosa, basti pensare a tutti gli accadimenti storici che si sono susseguiti nel ‘900,  non possiamo non ritenerlo un secolo di continui cambiamenti: guerre, crisi economiche, industrializzazione, boom economico, rivolte sociali e per finire l'avvento della tecnologia a portata di tutti.

Ascoltando i racconti di mia nonna ho spesso immaginato la dinamicità di quelle vite, sempre pronte a cambiare direzione, a non rassegnarsi, a lasciare il noto per l'ignoto. Forse noi abbiamo un po' perso questo coraggio, la paura di “perdere tutto” a volte ci porta a continuare il nostro cammino su percorsi piatti apparentemente più sicuri ma lungo i quali la cima è irrangiungibile.

Chi come mia nonna è nato senza nulla da perdere aveva quel coraggio innato di rischiare, provare, cadere e rialzarsi. Con pochi soldi in tasca insieme a Roberto, mio nonno, hanno lasciato i loro paesi natii per costruirsi un futuro nella “magnifica terra” Bormio. 

Di mia nonna amo ricordare la sua eleganza, il suo portamento, era una donna attenta ai dettagli, amava concedersi quelli che riteneva i piaceri della vita: i pasti per lei nascondevano qualcosa di cerimoniale, anche se sola, amava apparecchiare la tavola di tutto punto e cucinarsi piatti luculliani accompagnati da un calice di vino rosso, rigorosamente toscano. 

L’aspetto che più mi affascinava di mia nonna era il suo rituale insolito,  per una donna del ‘900 nata in un piccolo paesino di montagna, di gustarsi “un dito” di Whisky seduta sulla sua poltrona, in silenzio.

Norina ci ha insegnato che nella vita i dettagli, anche nella quotidianità, fanno la differenza e questo lo ricerchiamo anche nella nostra attività di albergatori.

 Ripensandoci forse quel gusto forte del whisky le riportava alla memoria il suo passato ricco di emozioni e sentimenti forti.

Alberto

“…Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi e' infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati. Muore lentamente, chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante (…)”

La giornalista Martha Medeiros scrive la poesia “lentamente muore”, emblema alla vita, per celebrare il coraggio insito nella natura umana, coraggio connesso a quella parte, seppur spesso sepolta, di istintualità primordiale e animale, ancor prima che umana. Coraggio che spinge a muoversi e a rischiare. Coraggio che sfida l’immobilità della paura; coraggio di non conformarsi nonostante la società moderna inviti ad adeguarsi, spegnendo inevitabilmente il “luccichio” presente in ognuno di noi, quella parte che rende ogni individuo unico e vitale nel suo essere. 

Ma come si può sacralizzare il coraggio dell’autenticità, e del “ricercato”?

Il tempo del “transgenerazionale” porta a pensare e a raccontare dei “simboli” delle generazioni; simboli in termini di personalità e di “caratteri”. Spesso il ruolo di emblema, simbolo, viene assegnato ai nonni, tasselli portanti della storia di ogni famiglia. 

L’etimologia del termine simbolo fa riferimento a “ciò che unisce”, dal greco “mettere insieme”; il simbolo, quindi, serve a legare e al contempo creare legami. Se crea legame, il simbolo diventa dono, dono che viene tramandato di generazione in generazione; ecco che, ragionare in questi termini, porta a pensare al ruolo dei nonni in qualità di “simbolo”, delle e tra le generazioni.

Jung in “Spirito e vita”, scrive: “Un simbolo non abbraccia e non spiega, ma accenna, al di là di se stesso, a un significato ancora trascendente, inconcepibile, oscuramente intuito, che le parole del nostro attuale linguaggio non potrebbero adeguatamente esprimere”.

Il simbolo “va oltre”, per addentrarsi ad una dimensione analoga all’ indicibile, a quel “conosciuto non pensato” a ciò che pensiamo di sapere ma che non potremmo mai esprimere verbalmente, perché costellato di sensazioni, frammenti di ricordi, profumi, non-detti (…).

“Non si ha rituale senza simbolo”, (Kerzer, 1988), e viceversa; il rito è sempre di ordine simbolico in quanto evocatore di significati individuali e/o collettivi, il rituale crea appartenenza: il pranzo della domenica e/o delle feste raccomandate a casa dei nonni in cui le generazioni si riuniscono è un rituale a forte valenza simbolica

Se, per esempio, pensiamo al repentino susseguirsi di eventi accaduti nel ‘900, potremmo concepire come spesso le persone tendessero ad “aggrapparsi” a rituali proprio per de-storificare il negativo in cui erano immersi, ancorandosi a ciò che poteva “restare”: il sorso di un liquore, l’appuntamento domenicale della S. Messa (…), tentativi, questi, di esorcizzare e sfuggire, in qualche modo, all’incertezza dell’epoca e provare ad afferrare un tempo che sfuggiva al controllo. 

Ritualizzare implica il tentativo inconscio di “fermare per tenere”: Tenere il presente nella sua atemporalità. Tenere un legame. “tenere il valore”. Tenere un frammento di vita “autografandolo” con dettagli personali. 

La ricerca del rituale cronologizza i ricordi, risveglia antichi sapori, pensieri, sensazioni, momenti. Il rituale accompagna i ricordi nel tempo, consente di spostarsi nel passato per riassaporare la tradizione: il familiare. 

Il rituale custodisce e conserva.

Avere cura del rituale e del dettaglio potrebbe simbolizzare il tentativo, invano, di rallentare il nostro tempo?

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